Quando ci si rende conto che il proprio matrimonio è arrivato al capolinea, si vivono una serie di emozioni differenti, a volte tra loro contrastanti, ma, come per tutti gli eventi critici e non previsti, comprendono inevitabilmente rabbia, delusione, risentimento.
A questi si associa spesso e volentieri una sensazione di smarrimento, determinato dalla scarsa conoscenza di quelle che saranno le ripercussioni del divorzio. È bene quindi soffermarsi su di esse…
Status civile, assegno di mantenimento, assegno divorzile, e tutte le altre conseguenze “monetarie” della fine di un matrimonio.
Nel momento in cui si perviene alla sentenza di divorzio in primo luogo si perde lo stato civile di coniugato, di modo che si possa decidere anche per nuove nozze, e la moglie torna al suo cognome da nubile “perdendo” quello del marito.
Per quanto concerne invece le ripercussioni a livello di patrimonio, in primo luogo, nel momento in cui uno dei due coniugi non percepisca redditi sufficienti, diventa beneficiario di un assegno divorzile che gli viene corrisposto dall’altro, e che può avere cadenza periodica oppure liquidazione in un’unica soluzione, e la cui entità viene determinata in base alle condizioni dei coniugi, alle ragioni della decisione, alla contribuzione di ciascuno dei due alla formazione del patrimonio familiare, alla durata del matrimonio.
Invece, in sede di separazione, l’assegno di mantenimento al coniuge cui non sia addebitabile la separazione è condizionato dalla circostanza che questi non sia titolare di redditi che gli permettano di mantenere un tenore di vita analogo a quello del matrimonio (in realtà i parametri per l’assegno divorzile sono stati recentemente modificati, com’è possibile avvedersi qui: Cambiamenti di rotta per stabilire l’assegno divorzile), ma anche alle sue potenzialità (è chiaro che un giudice sarà più propenso ad assegnarlo ad una donna in età avanzata e con problemi di salute, rispetto magari ad una giovane, con titoli formativi, lavorativi e professionali, e con una salute non compromessa).
Qualora il soggetto sia destinatario dell’assegno divorzile, lo sarà anche della pensione di reversibilità dell’ex coniuge: in caso contrario non sussisterà tale diritto.
Ancora, sebbene venga meno il rapporto coniugale, l’ex ha diritto ad una parte dell’indennità di fine rapporto (o TFR), ma solo limitatamente a quella maturata prima che venisse pronunciata sentenza definitiva di divorzio.
In ultimo, con la fine del matrimonio, si conclude anche il diritto del coniuge ad essere successore dei beni dell’altro in caso di dipartita.
Bigenitorialità/monogenitorialità
In realtà, entrambe queste misure economiche non sono concesse in prima istanza all’altro coniuge, ma ai figli della coppia (il ché non significa automaticamente che in loro assenza non saranno corrisposte, stante però le condizioni di cui si è detto): esse risultano essenziali per il mantenimento dei figli, laddove l’art. 337 ter del codice civile stabilisce il principio della bigenitorialità, che impone che ogni genitore provveda al sostentamento della prole, anche, laddove previsto dal giudice, con un assegno periodico che tenga conto delle sue esigenze, del tempo di permanenza presso ciascun genitore, del grado e livello di cura assunti da ciascuno di essi.
Dunque, oggigiorno padre e madre conservano eguali diritti e obblighi nei confronti di figli, in termini di affido e mantenimento, e la monogenitorialità rappresenta una pratica residuale.
E tuttavia, l’Istat registra come il fenomeno della famiglia monoparentale riguardi prevalentemente la donna, con una ripartizione che vede il 26% allocato nelle regioni del Nord-Ovest, il 23,6% in quelle del Sud, il 20,1% nel Centro, il 19,1% nelle realtà del Nord-Est e l’11,2% nelle Isole.
La maggioranza delle madri sole è vedova, ma la percentuale di quelle separate e divorziate è immediatamente seconda (attestandosi a quasi il 40%), mentre le nubili ammontano a meno dell’8%). Tutte queste donne, indipendentemente dalla collocazione nell’una o nell’altra categoria, sono molto giovani: quasi il 37% ha un’età compresa tra i 35 e i 44 anni, ma poco meno del 36% va dai 45 ai 54 anni. Molto basso il titolo di studio: la sola licenza elementare nel 42,7% dei casi, la licenza media nel 30%, il diploma nel 21,3%, e solo il 6% possiedono una laurea. La maggior parte lavora come impiegata o come operaia. Ma il dato più allarmante è che poco meno della metà delle madri sole dichiara di disporre di risorse insufficienti al mantenimento proprio e dei figli.