Divorzio e pensione di reversibilità
La pensione di reversibilità è quella quota della pensione che spetta al coniuge, nel momento in cui la persona che ne è titolare dovesse decedere.
Ma cosa accade quando i coniugi sono divorziati? Qual è il rapporto tra divorzio e pensione di reversibilità?
La Legge stabilisce che devono sussistere tre requisiti affinché al coniuge divorziato spetti la pensione di reversibilità: che questi percepisca già dall’ex un assegno divorzile periodico (se all’atto del decesso non sussiste diritto all’assegno, o se esso è stato liquidato in un’unica soluzione, la pensione di reversibilità non sarà concessa); inoltre, il coniuge divorziato superstite non deve essersi risposato (la convivenza invece non determina la perdita della reversibilità); infine, il lavoro da cui deriva la pensione deve essere anteriore alla sentenza di divorzio.
L’importo della pensione di reversibilità viene stabilito rapportando la durata del matrimonio (ivi compreso il periodo di separazione legale, che come sappiamo on comporta ancora l’interruzione definitiva del rapporto matrimoniale) e il periodo di maturazione della pensione del defunto.
Questo il rapporto tra divorzio e pensione di reversibilità nel caso in cui il coniuge defunto non si sia legato con un nuovo vincolo matrimoniale ad un’altra persona, per cui l’intero importo della reversibilità spetterà all’ex.
Ma nel caso in cui questo sia accaduto, e ci siano state nuove nozze? In questo caso la pensione di reversibilità spetta tanto all’ex coniuge quanto a quello nuovo, secondo una ripartizione che tiene in considerazione non solo la durata dei rispettivi matrimoni, ma anche lo stato di bisogno dei singoli superstiti (le relative condizioni economiche e reddituali).
Quali sono gli atti che consentono all’ex coniuge superstite di richiedere la pensione di reversibilità? Avanzando apposito ricorso al Tribunale che la concede, una volta stabilita la sussistenza dei tre presupposti precedentemente analizzati e analizzato l’atto notorio allegato.
La Legge sul Divorzio risponde anche alla questione, particolare e delicata, di chi spetti la pensione di reversibilità di un figlio morto per fatti di servizio (ad esempio un figlio dipendente statale deceduto in attività di servizio o militare in servizio permanente o continuativo), qualora essi siano divorziati, stabilendo che la quota va equamente divisa tra i due genitori, e che, a morte di uno dei due, la sua quota verrà assegnata all’altro.
Divorzio e TFR
All’atto della cessazione di un rapporto di lavoro subordinato, al lavoratore spetta il TFR, chiamato anche “liquidazione”.
Qual è il rapporto tra divorzio e tfr?
Orbene, se il lavoratore è divorziato, versa già all’ex coniuge (che non si sia risposato, mentre è indifferente che conviva o meno) un assegno divorzile, sarà obbligato a consegnargli anche una quota della liquidazione (ma solo per quelle successive al 12 marzo 1987, data nella quale tale clausola è stata aggiunta alla legge sul divorzio).
Dunque, la relazione tra divorzio e tfr è garantita solo nel momento in cui l’ex coniuge percepisca già un assegno divorzile periodico (in realtà i parametri per l’assegno divorzile sono stati recentemente modificati, com’è possibile avvedersi qui: Cambiamenti di rotta per stabilire l’assegno divorzile) e se il suo stato civile è rimasto libero.
E se, all’atto del divorzio, il TFR non fosse stato ancora maturato, la quota spettante all’ex coniuge viene persa?
Certo che no!
Il TFR può ovviamente maturare prima o dopo la pronuncia della sentenza di divorzio: nel primo caso la quota spettante viene già dichiarata dalla sentenza stessa; nel secondo caso spetta al coniuge interessato avanzare un’apposita istanza al Tribunale affinché il suo diritto sia accertato e riconosciuto (a patto che sussistano i due presupposti di cui sopra).
La quota ammonta al 40% dell’indennità “riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio” (quindi, non il 40% del TFR totale, ma un periodo che comprende anche l’eventuale durata della separazione legale).